
I luoghi del romanzo


Era un’imponente fortezza medievale costituita da diversi corpi e i due ne rimasero impressionati.
“Cavolo, ci saranno almeno una cinquantina di stanze dove cercare, ci vorranno settimane.”, fece lei delusa, guardando perplessa il marito che intanto stava girando attorno all’edificio per rendersi conto della situazione.

“Ecco, io mi sarei sistemato qui.”, spiegò alla moglie indicando una stanza d’angolo al piano terreno,
“Vedi, ci sono due finestre, una dà sul prato e l’altra guarda il cortile, è facile tenere sotto controllo chi arriva e infilarsi nella boscaglia al minimo segno di pericolo.” Lena gli rivolse uno sguardo compiaciuto per come aveva subito inquadrato la situazione e gli rivolse un sorriso ammirato.

“Guarda qui!” esclamò Lena a un tratto, “Ci sono dei sacchi a pelo e, delle scatolette.”
Hödl la raggiunse con un balzo, afferrò una scatoletta e lesse l’etichetta, SS Pachung. “Sono razioni alimentari delle SS.”, esclamò rigirando il barattolo tra le mani.
“Qualcuno è stato qui dopo la partenza degli americani e dev’essere scappato in tutta fretta.”, affermò mentre continuava a guardarsi intorno.

Hödl si precipitò nella stanza e si mise a scostare le cassette delle munizioni spingendole via con forza e ansimando per lo sforzo, mentre Lena l’osservava scettica.
Gli bastò spostarne un paio perché venisse fuori quello che stava cercando.
“Le avevano accatastate su una botola per nasconderla.”, esclamò Hödl indicando un portello con aria soddisfatta. Lena si avvicinò per rendersi conto, la botola si intravedeva appena perché i bordi del portello si confondevano con le fughe delle assi di legno inchiodate.

Una delle sue fonti era l’inconsapevole moglie di Adolf Eichmann, Vera.
Abitava sola con i tre figli in uno chalet sulle rive del lago Aussee, dopo la rocambolesca fuga del marito riuscito a sfuggire agli americani che lo braccavano come criminale di guerra.
Hödl andava regolarmente a trovarla con la scusa di portarle un po’ di danaro e riusciva a carpirle utili informazioni facendole poi arrivare agli americani.

Quando Andràs uscì con la sua valigia rimase di stucco.
Non era un’auto, come aveva immaginato, ma una motocarrozzetta tedesca, una motocicletta con un carrozzino laterale per il passeggero. Fece un giro intorno per darle un’occhiata, era una di quelle usate durante la guerra, piuttosto malandata e con targa civile, ma si riconoscevano ancora le insegne dell’unità di appartenenza sotto i colori mimetici. Ne aveva viste tante come quella precedere e seguire i convogli militari della Wehrmacht.

“Sotto il sedile posteriore!”, fece lui sicuro.
L’operazione richiese una mezzora di smontaggi e rimontaggi ed erano ormai le tre del pomeriggio quando l’auto riprese la strada del ritorno, ma quella precauzione si rivelò provvidenziale quando furono fermati da una pattuglia lungo la strada.